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Milena Gabanelli |
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Il nome di Milena Gabanelli non figura nell’annuario dei giornalisti italiani. Infatti, non è giornalista: non vollero farla e lei, poco interessata, non insisté. Così è diventata una bravissima non-giornalista d’inchiesta, più brava anche dei bravi non-giornalisti di cronaca e denuncia allevati da Striscia e Iene. Non è neanche dipendente Rai: la Rai non potrebbe permettersi né una dipendente così ficcanaso, né contenziosi con enti pubblici. Il suo programma della domenica sera, Report, la Gabanelli lo produce in proprio con propri collaboratori e lo vende, chiavi in mano, alla Rai. Per la quale i rinnovi dei suoi contratti sono una specie di cache-sex dell’abituale conformismo, un alibi informativo-politico, una prova di indipendenza e libertà: vedete come la Rai è indipendente, libera e, soprattutto, coraggiosa.
Qualche mese fa, quando le hanno consegnato il premio Max David – riservato ai grandi inviati speciali – la Gabanelli mi confidava che il suo problema non è la ricerca di argomenti, personaggi, filmati ma le diciotto cause giudiziarie, sissignori diciotto, con richieste di indennizzi e spesso di condanne penali, che le sono state intentate. Anticipi per avvocati e spese a carico suo, naturalmente. E rischio di sentenze creative sempre in agguato. L’Italia è un paese strano. Negli ultimi anni i cittadini hanno saputo qualcosa di oscuri maneggi finanziari e fetide reti di corruttela e ricatto grazie alle intercettazioni, ma ora si sta per votare una legge che vieta – a pena di galera – la pubblicazione delle intercettazioni. La denuncia di disservizi, imbrogli, trucchi, collusioni tra politica avida e imprenditoria disinvolta trascina davanti ai giudici non chi si presume che li abbia commessi o ne sia responsabile, ma chi osa raccontarli alla gente.
In ogni caso, la denuncia non smuove il potere e la rivelazione è inghiottita, metabolizzata, ignorata. Ieri sera Milena Gabanelli ha spiegato agli italiani per quali impressionanti, perversi e non disinteressati meccanismi le nostre grandi opere pubbliche – linee ferroviarie, autostrade, gallerie, ponti, dighe, porti – richiedono molti decenni di insondabili lavori, mentre altrove bastano pochi anni, e costano quattro o cinque volte più che nel resto d’Europa, per esempio in Spagna. Ma di quelle vicende, che ci prendono montagne di soldi e ci fanno pagare uno sproposito di tasse, non si parla granché. Report? Non import.
Stamane i giornali hanno paginate piene di fatti vitali e appassionanti: Berlusconi difende Putin, Dini lo elogia, D’Alema (prima di occuparsi, più domesticamente, di Pd e Telecom) se ne dice preoccupato, Israele non critica più Pio XII, Prodi non vuole parlare di leadership, Fioroni lancia la sfida, Casini intende andare oltre l’Udc, Gianni Letta gli dice bravo, Boselli desidera l’unità socialista, De Michelis invita Forza Italia a seguirlo, il parà tedesco incita a sparare ai neri e quello pakistano abbraccia la ministra, l’opposizione protesta alle elezioni regionali (!) in Nigeria, Ségolène insegue Mitterrand, rally illegale Belgio-Italia… Tutta roba che ci fa trattenere il fiato e accapigliare in bar e salotti. Quanti insonni si rivoltano nel letto domandandosi: cosa dirà domani Franceschini, cosa gli risponderà Bondi, come la prende la Sereni, qual è la posizione di Cento sulla cattività dell’orsetto bianco di Berlino, sarà d’accordo la Parietti, per Alberoni è meglio il sesso di persona o sul telefonino? Mi sembra chiaro perché – senza libri, dvd e gadget – i nostri quotidiani vendono in edicola meno di tre milioni di copie al giorno.